venerdì 13 luglio 2012

14 luglio 1944: grande parata nel Campo

     La Siena appena liberata (3 luglio 1944) aveva festeggiato il giorno dopo, come primo segnale simbolico di ringraziamento; era però inevitabile che ci fosse un qualcosa di meglio organizzato e pianificato, verso i francesi liberatori. Quale migliore occasione che il 14 luglio, la Festa per antonomasia del popolo francese?
Molti avranno presenti le immagini della Piazza, ancora "tatuata" con la enorme Croce rossa antibombardamenti: i reparti militari ed i carri armati posizionati nella parte superiore del Campo, ordinati all'uopo. Intorno, al posto dei cavalli e dei fantini, il popolo senese; dal Circolo degli Uniti, la nobiltà senese osservava: chissà se rendendosi conto, o meno, che quella marziale manifestazione implicitamente segnava una effettiva discontinuità storica: il passaggio del potere sulla città dall'oligarchia aristocratica, detentrice del potere fondiario, alla nuova leva di dirigenti comunisti, che avevano ovviamente un background del tutto altro rispetto ai loro predecessori. Una frattura antropologica, prima  ancora che storica.

  Erano presenti i generali Alexander (l'inglese, estensore del noto Proclama tendente a frenare i bollenti spiriti dei partigiani del Nord Italia), lo statunitense Clarck ed il francese Juin; da parte senese, oltre ai notabili della città (qualcuno anche pronto a sbianchettare in fretta e furia il proprio lealismo fascista), anche le Contrade, a sfilare.

   Siena sballottata qua e là, tra i marosi della Storia: due anni prima, pronta ad offrire una sorta di "Palio-simulato" ad una folta delegazione della Hitlerjugend nazista, questo 14 luglio ad accogliere coloro che quel potere nazista da poco omaggiato avevano combattuto con il sangue.
Tra i marosi imprevedibili della Storia, però, finirono anche molti di quegli algerini che erano entrati da Porta San Marco quel 3 luglio, per scacciare le truppe hitleriane. Molti di quei giovani, 18 anni dopo, con gli accordi di Evian del 1962 fortemente voluti da Charles De Gaulle, furono abbandonati dalla Francia per la quale avevano combattuto nel secondo conflitto mondiale (i celebri harkis), e furono lasciati a se stessi di fronte alla virulenza vendicatrice degli insorti algerini (loro conterranei, si badi bene). In quel caso, la Francia non seppe assolutamente dimostrare in concreto la riconoscenza che questi soldati avrebbero meritato.

  Nel suo diario (pubblicato - come detto nel precedente pezzo - da Achille Mirizio), l'Arcivescovo Mario Toccabelli non si mostra particolarmente contento dell'evento del 14: in piena coerenza con le sue perplessità sulla presenza straniera sul suolo senese, e con il suo indicare questi giorni come giorni di occupazione della città da parte delle truppe liberatrici. Solo un fugace accenno all'evento, nel suo diario, quel 14 luglio. Anche perchè il buon Toccabelli verosimilmente aveva il suo cuore più orientato verso la Vandea, piuttosto che verso la festeggianda Bastiglia...
Più interessato, il successore apostolico, appare sul versante prettamente moralistico, come già rilevato nell'articolo del 3 luglio scorso. Nel suo diario (op. cit., pagine 47-48) scrive di essere andato in mattinata a conferire con il Governatore americano per la questione dei balli - sia pubblici che privati -, balli che devono avergli tolto il sonno più delle bombe che ancora si sentivano, in lontananza (San Gimignano era stata liberata il 13 luglio, per esempio).
"Accenno poi ai balli...e come siano in contraddizione con i nostri dolori e le nostre lagrime. Mi risponde (il Governatore, Ndr) che i balli sono una cosa buona in tempo di guerra; distraggono; che se la Francia li aveva proibiti ha dovuto pentirsene; che impediscono il male, perchè chi vuole fare del male non si presenta in una sala pubblica da ballo; confessa lui stesso il Governatore, che nella notte precedente ha preso parte al ballo".
 Dopo questa choccante rivelazione, l'ardore toccabelliano si deve essere alquanto affievolito: da buon cattolico, l'autorità costituita va sempre rispettata in quanto tale (San Paolo docet).
Toccabelli scrive solo di essersi riservato "un'apostrofe ironica e mordace alle signore e signorine sul ballo", durante la funzione in Cattedrale delle 18,30 di quel giorno.
Insieme alla fine della guerra, si frantumava una forma mentis sedimentata da plurisecolare esperienza pregressa, e si avviava il processo di secolarizzazione: temuto, dalle gerarchie cattoliche, addirittura più dell'esercito hitleriano e staliniano messi insieme. Per un semplice ma non banale motivo, che la Chiesa di Pio XII aveva ben compreso: il potere degli eserciti è effimero e reversibile, quello della secolarizzazione dei costumi non permette, invece, di tornare indietro. Toccabelli aveva visto giustissimo...

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