Anche a Siena, è arrivato il film "Il gioiellino", del regista Andrea Molaioli (quello dell'intenso "La ragazza sul lago" del 2007): un autore da seguire, un regista che può permettersi il lusso di prendersi il tempo necessario tra un film ed un altro.
Si parla in modo chiaro del crack Parmalat, pur non essendo "Il gioiellino" un film prettamente d'inchiesta; ma la cronologia ed i prodotti stessi della ditta, non lasciano adito a dubbi di sorta.
Ben diretto, con buon ritmo narrativo, l'opera è magistralmente interpretata: per Toni Servillo, ormai basta la presenza, per legittimare il biglietto; ma eccellente è il lavoro di un Remo Girone (Callisto Tanzi), in continuo bilico tra il personaggio da compatire, e da condannare.
Per trovare appigli con le squallide storie senesi, basterebbe l'incipit del film: un Remo Girone radioso, che si rivolge alla platea adorante, parlando della sua azienda come di una azienda che sa creare "valori", che sono più importanti del fatturato. Come fosse un banchiere etico; come fosse un Mussari qualunque.
Poi il discorso finisce. Girone - bicchiere in mano - si mette a parlare con il banchiere; c'è il Cardinale che gira intorno, riverito da tutti, insieme al politico di turno che fa continue citazioni in latino, e che si perde dietro la più bella e scollacciata delle signore presenti: storie di ordinario capitalismo italiota, a Parma come ad altre latitudini. Un capitalismo di relazione: di pacche sulle spalle e di ammiccamenti, che valgono più delle lauree e dei master. Fino a quando, fino a quando - non improvvisa -, arriva la Guardia di Finanza, meglio tardi che mai: la ricreazione è finita, avrebbe detto De Gaulle.
Toni Servillo, in manette, è atteso da una piccola folla di giornalisti: "Auguro a voi ed alle vostre famiglie una morte lenta e dolorosa!", dice con il suo ineffabile sorriso.
Fine del film, titoli di coda, poi luce in sala. La gente sfolla. L'eretico, in uscita, nota il Magnifico Rettore dell'Università di Siena, Angelo Riccaboni, anch'egli in uscita, con amici al seguito.
Cosa avrà pensato, di un film come questo, il numero uno di un ateneo da tempo sull'orlo del collasso, se non già collassato? Si sarà rivisto, in qualche modo, in un finale drammatico come quello dell'opera di Molaioli? Appena arrestati, sulla camionetta della Finanza, con i creditori infuriati che manifestano all'esterno la loro rabbia, troviamo - nell'ultimissima sequenza - uno dei collaboratori di Servillo, che gli dice: "Beh, però in questi anni ci siamo divertiti, eh capo?".
Un finale memorabile.
Al posto loro, ci fossero stati due pezzi grossi del Sistema Siena, quello con più voglia di parlare, magari avrebbe detto, all'altro, cupo ed incapace di inteloquire: "Beh, ma in tutti questi anni, non ci dicevamo in continuazione che stava andando tutto bene?".
Raffaele Ascheri
Caro Eretico
RispondiEliminachi scrive si considera un fuoriuscito dalla città. Sono ormai cinque anni che vivo e lavoro fuori e la mia è stata una scelta quasi obbligata.
Poiché né io, né la mia famiglia facciamo e faremo mai parte del sistema Siena, avevo due scelte: una vita mediocre dentro le mura, in termini di soddisfazione professionale, o il tentativo di fare qualcosa di buono fuori.
Per carità non sono né un cervelllo in fuga, né un genio incompreso. Penso semplicemente che dopo una laurea sudata si debba aspirare a qualcosa e quel qualcosa non debba essere vincolato al solo sistema delle amicizie e clientele che esprime una città come Siena. Sappiamo tutti che il merito in Italia conta pochissimo: contano le amicizie, la politica, le relazioni, le passioni comuni, le marchette e tutto quello che, solo apertamente, disprezziamo. Ecco, Siena incarna perfettamente questo modello ed direi lo esalta.
Vista da fuori la città è autoreferente, trasversale a tutti i livelli, priva di un senso etico di base e di fondo inconsistente. La Casta esiste, si, ma ai senesi sta bene così. Sono sufficienti le contrade, la Mensansa, la Robur e la casa al mare. Perlomeno finché reggerà il sistema di elargizione degli oboli , la spartizione dei denari della Banca e il posto fisso.
Allora dico, Eretico, giusto prendersela con la Casta ma occorre dire qualcosa anche ai Senesi. A quei senesi che leggono con avidità i tuoi libri che poi però nascondono nei cassetti per paura che un amico in visita li scopra.
A quei senesi che non hanno il coraggio mai di schierarsi contro perché altrimenti il posto in palco, il prossimo anno, non gli tocca.
A quei senesi che scelgono sempre la via più facile per il raggiungimento di un obbiettivo, che non si mettono mai in discussione che tanto “Siena è la città dove si vive meglio”.
La Casta, caro Raffaele, è l’espressione di un popolo che è molto simile a chi lo rappresenta.
Sono d'accordo con la visione "da fuori" espressa nel post precendente.
RispondiEliminaDevo anche aggiungere che una città estremamente autoreferenziale come Siena, pecca molto spesso anche di superbia, una superbia che un piccolo centro urbano in lento declino non può permettersi, senza almeno scuotersi fortemente per mettersi in discussione.
Questa autocritica feroce deve venire da noi senesi anche da chi come me è sempre stato ai margini della "siena da bere"... il rinnovamento viene principalmente dalle idee, dalla volontà di fare gli interessi delle collettività e cosa più importante dalla volontà di esserci senza dover delegare sempre al politico di professione di turno.
Insomma, sarebbe venuto anche il momento uscire fuori dal proprio piccolo quotidiano per metterci la faccia (cosa che purtroppo fanno in pochi), la "casta" si nutre della nostra pigrizia.
Saluti
Francesco Guasconi