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venerdì 6 aprile 2012

Sarajevo, la Stalingrado degli anni Novanta

 
   Oggi, 6 aprile, per una curiosa coincidenza, siamo di fronte al crocevia di tre eventi, del tutto slegati fra loro: il primo centenario della morte di Giovanni Pascoli, i tre anni dal sisma de l'Aquila, i venti dall'inizio dell'assedio di Sarajevo.

  Per quanto concerne il poeta della "cavallina storna", l'eretico si limita a segnalare la pregevole ristampa dei pascoliani Canti di Castelvecchio (tra l'altro gratuita) che La Nazione offre ai suoi lettori,  con il contributo della Fondazione Giovanni Pascoli e del Comune di Barga (posto bellissimo, in cui consiglio chi possa ad andare quanto prima!).
Per quanto riguarda la tragedia aquilana, rimando volentieri agli articoli ereticali sulla visita alla città abruzzese dei mesi scorsi, per chi ne avesse voglia e tempo, ovviamente: articoli all'insegna di un forte pessimismo, che non può certo essersi addomesticato in alcun modo in questi pochi mesi.

Sarajevo, dunque.
Il più lungo assedio di una città, di una grande città europea, dal 1945 ad oggi, iniziò proprio il 6 aprile 1992, vent'anni oggi.
L'Europa - che aveva appena formalmente riconosciuto l'autonomia della Bosnia Erzegovina e del suo melting pot - assistette, quasi noncurante, a ciò che stava avvenendo: nessuna manifestazione imponente, nessuna bandierina multicolore della pace, ben poca mobilitazione di intellettuali, in Italia (a parte Adriano Sofri e uno dei pochi idealisti autentici della politica italiana, il verde altoatesino Alex Langer: non a caso suicida, per l'incapacità di sopportare il Male di Sarajevo). Nonchè l'inazione militare, colpevolissima: lasciammo fare ai macellai balcanici ciò che volevano, in buona sostanza. "Missioni umanitarie" in Iraq ed Afghanistan, dopo; lì, nel cuore dell'Europa, solo a cose fatte, quasi senza sparare un colpo.
La cosa curiosa è che un assedio in piena regola non se l'aspettavano neanche gli abitanti (non serbi) di Sarajevo: la pensavano una cosa possibile, certo, ma non probabile. Non in quel preciso momento. Neanche dopo ciò che era accaduto poche settimane prime a Vukovar. Invece l'assedio, implacabile, iniziò, per durare fino al 1995. Dalle alture che circondano la città più etnicamente varia d'Europa, i mortai serbi, implacabili, distruggevano pezzo per pezzo case, palazzi, alberghi. E poi i cecchini, pronti a spararti nei momenti più ordinari, quotidiani: quando uno attraversa la strada, quando va al mercato, quando fa la fila per l'acqua.
 Dietro al nazionalismo esacerbato, c'era anche - secondo Paolo Rumiz, soprattutto - l'ansia di rubare, di saccheggiare. Lo scrittore triestino - che era in loco 20 anni fa - ricorda su Repubblica di ieri come, a luglio, a Belgrado ebbe "l'oscena conferma. I mercatini dell'usato erano pieni di cose bosniache. Persino i settimanali rigurgitavano di inserzioni su automobili, stanze da bagno, bestiame, televisori. Un improvviso fiume di refurtiva macchiata di sangue arrivava dalla Bosnia ed ecco che la guerra si svelava per quello che era: una scusa per rendere possibile il saccheggio e assolvere patriotticamente l'assassinio. La banalità assoluta del male".
Gli eserciti non sono mai composti da educande, ma soprattutto i paramilitari serbo-bosniaci (vedasi il Comandante Arkan, fra tutti) erano davvero un'accozzaglia di criminali eccitata dall'adrenalina del saccheggio e dello stupro: ladri, rapinatori, truffatori, stupratori, tutti cementati dall'idea di una Grande Serbia, e di un Grande Saccheggio. Come detto e scritto più volte, dall'altra parte (dalle altre parti) non tardarono molto a rispondere pan per focaccia: magari andando alla pugna dopo essere passati a farsi benedire dai ciarlatani di Medjugorje. Prima le mani giunte davanti alla Madonna ustascia, poi le mani lorde del sangue serbo o musulmano, dei civili serbi o musulmani. No, davvero è arduo trovare innocenza, in chi l'ha combattuta, quella guerra civile.

 Due anni fa, per la prima volta, sono arrivato a Sarajevo. Ci sono arrivato in macchina, anche per saggiare la qualità delle strade bosniache (alti e bassi, diciamo: come in Italia, no?).
I palazzi hanno ancora i segni, le cicatrici dell'assedio; ancora di più, le cicatrici restano nella mente degli abitanti (cattolici croati, ortodossi serbi, musulmani bosniaci). La guerra - come sempre - ha reso gli abitanti più attaccati alla religione (in special modo gli islamici), ma nello stesso tempo qualcosa della passata laicità cosmopolita di stampo asburgico fortunatamente resta e, soprattutto, il consumismo e l'edonismo occidentale imperano, fra i giovani. Fast food accanto ai minareti, muezzin (registrati) richiamanti alla preghiera di fianco alla musica di Lady Gaga.
All'apparernza, tanta voglia di vivere, di divertirsi. Forse non dissimile da quella degli anni '50 da noi: la voglia di vivere di chi ha convissuto con la morte vicina di casa. E ora vuole farsi una passeggiata, senza il terrore di essere freddata da qualche cecchino...

 Come sempre nelle tragedie più grandi, a Sarajevo ci fu un eroe autentico: Jovan Divjak. Aveva allora 55 anni, era un generale dell'Armata jugoslava, di etnia serba. Quando vide il macello che era diventata Sarajevo, lasciò la sua etnia ed il suo altissimo grado, e passò a guidare la resistenza degli assediati, contro la sua stessa etnia.
 Oggi cosa fa? Dirige una fondazione per bambini orfani di guerra. Al cospetto di tanta banalità del Male, in queste temperie c'è sempre l'enormità del Bene...

3 commenti:

  1. Certo le guerre sono tutte tragiche e le milizie para-militari serbe non sono state meglio delle SS. Però.
    Però la guerra serbo-croata l'ha iniziata la Croazia nel non voler dare l'indipendenza alla Kraijna; però i Croati hanno fatto a Medak ed a Karlovac quello che i serbi hanno fatto a Vukovar e Sarajevo; però Serbi e Croati hanno provato a spartirsi la Bosnia con la forza (vedi la storia di Mostar).
    Chi ha avuto la peggio sono stati i musulmani, ovviamente soltanto perché meno forti militarmente. Non a caso, in Kosovo, non si sono fatti particolari problemi a bruciare chiese ortodosse ed altre simili carinerie.
    Allora, ricordando i morti INNOCENTI di Sarajevo, sorge comunque la domanda storica e politica di perché l'Occidente (cioè: noi) si sia schierato a fianco di un macellaio come Tudjman (chiedere in Istria) e del popolo meno europeo di tutti quelli della Regione.
    In altri termini: che hanno fatto, di male, i Serbi (escluse le bestie alla Arkan)?
    P.S.: Medjugorje non c'entra proprio nulla. Al di là della veridicità della Madonna che appare a comando, gli ammonimenti degli otto veggenti non mi sembrano così guerrafondai...

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  2. Rispondo in ritardo al lettore, ma con vivo piacere.
    Sono d'accordo quasi del tutto sulla argomentata ricostruzione, soprattutto allorquando si riconosce che il popolo serbo in quanto tale non è stato certo peggio di quello croato, a differenza di ciò che i media italiani ci propinavano nei Novanta.
    Dissento totalmente, invece, dal Post scriptum su Medjugorje: non solo perchè gli pseudo veggenti sono 6 e non 8 (almeno quelli "ufficiali"!); i loro ammonimenti sono certo pacifici (ci mancherebbe altro), ma lo erano molto meno le benedizioni che davano (Vicka in primis) ai neoustascia prima che questi partissero per le operazioni di guerra e guerriglia. Una Madonna non può (non potrebbe, non dovrebbe) mai essere brandita da qualcuno contro qualcun altro. Lepanto è lontana, ma non troppo...
    L'eretico

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  3. Caro Eretico,
scrivo solo ora, perché ho finito di leggere il libro di Masotti su Sarajevo, e facendo qualche ricerca ho trovato questo tuo pezzo. Vorrei farti sapere che nel 1992, a Sarajevo assediata, ci abbiamo pensato in tanti e ci sono stati vari tentativi di parlare dell'assedio in modo un po' diverso dai principali mezzi di comunicazione. Io ci sono stato con Langer, ma c'erano con me almeno una decina di persone, donne e uomini, della zona tra Siena e Firenze, e portavamo la bandiera arcobaleno, che tu dici assente in quel periodo. Poi ricorderei che anche un certo Aljia Izetbegovic (l'ortografia cambia ma mi sembra sia scritto così) non è stato incriminato dal tribunale dell'Aja solo perché è morto un po' prima, eppure è risultato su tutta la stampa di allora come il "difensore" di Sarajevo.... ma tu, essendo eretico forse lo sapevi già; diciamolo però, altrimenti a cosa serve l'eresia?

    Francesco Andreini

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