Cerca nel blog

domenica 25 marzo 2012

Afghanistan: ammettere la guerra, accettare la sconfitta

  Questo articolo NON è assolutamente scritto sull'onda emotiva dell'ennesima (la cinquantesima, per la ferale precisione) uccisione di un militare italiano in terra afghana. Non c'era bisogno della morte del trentatreenne sergente del Genio guastatori della Brigata Garibaldi dei bersaglieri, per fare scrivere all'eretico quanto segue.
  Sgombriamo il campo dagli (eventuali) equivoci: ho vissuto professionalmente accanto ai figli di alcuni di questi militari, di stanza a Siena ma in missione in Afghanistan. Mi basta la paura, lo smarrimento che vedevo nei loro giovani occhi in pena per i padri, per sentirmi solidale con loro; e non accetto assolutamente il ragionamento, che pure in non pochi fanno, in Italia: "sono volontari, e sono strapagati. Quindi...". Detto di lavoratori che rischiano seriamente la pelle - la loro pelle - nell'inferno a cielo dell' aperto del Gulistan, a fronte di un paese, l'Italia, purtroppo pieno di corrotti e di ladri che guadagnano cento volte tanto rischiando un avviso di garanzia, ciò risulta davvero inaccettabile.

 A questo punto, però, in modo ineludibile è venuto il momento di chiederci il perchè della nostra permanenza in Afgfhanistan: siamo il quarto contingente straniero in loco con più di 4.000 elementi, siamo lì dal 2004 (Governo Berlusconi, ma su decisione bipartisan). La Francia sta affrontando il problema: se vince il candidato socialista Hollande, per esempio, il contingente francese abbandona (come fece Zapatero in Iraq nel 2004, dopo Atocha). Da noi, as usual, parlare di politica estera è quasi un tabù. Invece bisognerebbe porre la questione afghana molto più in alto, nella gerarchia valoriale della politica nostrale.
In primo luogo, sarebbe bene che il Ministro della Difesa avesse il coraggio di dire ciò che i suoi predecessori hanno eluso: in Afghanistan c'è una guerra, e noi (loro, i soldati) la stiamo combattendo, da ben otto anni. Guerra asimmetrica, certo: ma sempre guerra (anche perchè oggi la guerra fra Stati propriamente detta è quasi scomparsa). L'ipocrisia, in questi anni, ha toccato livelli iperbolici: come in tempo di guerra, appunto.
 Guerra, dunque. Guerra perduta, irrimediabilmente. Oltre a non riuscire a sconfiggere i talibani del Mullah Omar, non siamo riusciti - gli americani in primis - nell'impresa di conquistare "i cuori e le menti". E gli ultimi tre, imperdonabili, autogol statunitensi ( i marines che urinano sui corpi nemici, le copie del Corano oltraggiate, la strage di 16 civili ad opera del sergente "impazzito" a Kandahar), sono assolutamente irreparabili, nel breve e medio periodo almeno. Ci vuole un salto generazionale, se va bene.
Il "cimitero degli imperi", l'impenetrabile ed invicibile Afghanistan ha colpito ancora: vuoi per l'incredibile capacità di adattamento dei suoi combattenti, vuoi per l'inaccessibilità logistica di grandissima parte del suo territorio, la Nato sta facendo la fine dell'allora prima potenza mondiale (Inghilterra) fra il diciannovesimo e ventesimo secolo (tre sconfitte in meno di un secolo!), nonchè dell'Armata rossa sovietico-brezneviana (1979-1989, con mestissimo ritiro gorbacioviano).
Si sono ritirati i più forti eserciti del mondo, da Kabul e dintorni, nella recente e recentissima temperie geopolitica. Ci possiamo ritirare - con il massimo della dignità possibile - noi.
  Ammettere la guerra, dunque, almeno adesso; ed accettare una sconfitta ormai inevitabile, nei fatti: prima di lasciare, sulla polvere afghana, altre, inutili vittime. 

5 commenti:

  1. Completamente d'accordo. Sono rimasto molto colpito dalla precisa e profonda descrizione dei figli dei nostri militari. E' una descrizione importante per la sua profonda umanità, noi tutti spesso ci scordiamo che dietro questo conflitto ( dentro questo conflitto ) ci sono persone come noi, che come noi hanno sogni e speranze per se e per i loro cari. Anche io per motivi professionali ho avuto modo di incontrare alcuni di loro, quasi tutti ragazzi giovanissimi, mandati a combattere una Guerra ( perchè di questo si tratta ) più grossa di loro, e per questo vittime tra le vittime. In 50 ( ad oggi ) non torneranno, gli altri porteranno dentro di se le tracce di questa esperienza terribile. Vanno a portare la pace, così gli dice il loro sincero cuore, così vorremmo tutti noi, ma si trovano in guerra, si trovano lì per difendere altri interessi, non i loro, non i nostri. Portiamoli a casa , in un'Italia dove la loro presenza ed onstà è necessaria.

    RispondiElimina
  2. Visto che in Afghanistan il petrolio non c'è, vorrei ricordare che la ragione dell'inizio della guerra (ottobre 2001) era quella di contrastare Al Qaeda e Bin Laden, ospiti dei talibani del Mullah Omar: quel che resta di Al Qaeda, non è più in loco, e da tempo. Bin Laden - come si sa - è stato ammazzato (e non era in Afghanistan, ma in Pakistan, e da tempo). Per la maggioranza degli afghani, le truppe Nato sono truppe "occupanti".
    Che senso ha, il restare?
    L'eretico

    RispondiElimina
  3. Riusciranno un giorno i nostri nipoti (I figli ormai no) a vedere un'Italia non più schiava degli States?

    RispondiElimina
  4. Temo di no: e la cosa più grave è che la Guerra fredda è terminata da vent'anni, non da venti minuti.
    Morto dopo morto, il Governo italiano (i Governi italiani) non prova neanche a formulare un concetto, a proposito dell'Afghanistan: pura passività. Lo stesso dicasi per la trimurti Alfano-Bersani-Casini. Tanto i loro famigli in guerra non ci vanno mai...
    L'eretico

    RispondiElimina
  5. Siamo un popolo di servi degli americani, come dimostrato anche dalla vicenda del Cermis

    RispondiElimina