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domenica 5 maggio 2013

La domenica del villaggio: due bei film, ed un quesito finale...


    Due esempi di cinema totalmenti differenti l'uno dall'altro, sono capitati davanti agli ereticali occhi: il cadenzato, lentissimo Kiarostami, l'adrenalinico e cupo Michele Placido.
Abbas Kiarostami, maestro iraniano, ambienta il suo "Qualcuno da amare" nel Giappone di oggi, con un film che ha una struttura narrativa esilissima (l'incontro tra un anziano professore di sociologia ed una call girl, con un fidanzato morbosamente geloso: niente di più!), ed un ritmo appunto lentissimo, antiholywoodiano all'ennesima potenza.
 Il film (di cui scrive anche Vincenzo Cerami sul Sole 24 ore di oggi) ha comunque un suo fascino, e ci mostra una figura femminile tanto seducente, quanto assolutamente incapace di prendere in mano il proprio destino di vita: proprio in questo soccorrendola l'anziano sociologo.
 Da non vedere assolutamente se si è in arretrato con il sonno (ci si addormenta prima della metà, in quel caso); da fare vedere, invece, ai fidanzati troppo gelosi. Per evitare che, alla fine, a cagione dell'eccessivo controllo, le loro belle fidanzate gli antepongano più che maturi professori dai bianchi baffi...

   Se invece preferite il poliziesco, il noir d'atmosfera, il revenge movie (generi amatissimi dall'eretico), "Il cecchino" è il film che fa per voi.
 Il meglio fra gli attori francesi (straordinari Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz ed Olivier Gourmet), diretti da un Michele Placido che ormai è pienamente a suo agio in questo genere di film (dopo "Romanzo criminale" e "Vallanzasca").
Con qualche piccola e perdonabilissima sbavatura, per chi ama questo tipo di cinema, "Il cecchino" è davvero un grande film: una Parigi scura e livida, a fare da scenografia; una figura, quella del chirurgo (Gourmet), capace di palesare pulsioni realmente demoniache, con il suo luciferino cinismo e le sue capacità falsificatorie; il Commissario (Auteuil), in cui il desiderio di fare giustizia si fonde, da un certo punto in avanti, con la volontà di vendetta per il figlio, militare morto in Afghanistan; il cecchino (Kassovitz), figura di ex militare d'élite capace di trasferire il senso dell'onore dell'esercito nella malavita dedita alle rapine. E capace di colpire quando nessuno se lo aspetta, dai tetti d'ardesia che si innalzano lungo la Senna.
C'è violenza, c'è sangue, ma c'è anche riflessione sui massimi sistemi (l'onore, la vendetta, l'amicizia), con duello finale alla Sergio Leone, sempre tenendo ben alta la barra della tensione: si può forse desiderare di più, da un poliziesco?

   Piccolo divertissement finale, riprendendo uno spunto scolastico: cari lettori domenicali, preferite la lettura dell'Iliade o dell'Odissea? Dopo avere letto e sentito pareri preadolescenziali, mi piacerebbe molto leggere (e in parte commentare) riflessioni adulte. A ruota libera, ovviamente.
 Chi vuol scrivere la sua, è il benvenuto: in tempi di figure pubbliche così bassamente grame, almeno un po' di tempo dedicato ad Achille o ad Ulisse, a Priamo o a Penelope (invece che ad altri) non è certo perduto. Anzi. Vediamo che cosa viene fuori, dunque...

Ps Terminato il libro di Giordano Bruno Guerri su D'Annunzio: la prossima domenica, ci sarà una puntata quasi monografica.

9 commenti:

  1. Mi ha sorpreso e mi ha trovata decisamente impreparata l'interminabile sequenza del viaggio in taxi - per recarsi suo malgrado a un appuntamento amoroso con un cliente - durante il quale la ragazza ascolta parecchi messaggi lasciati in segreteria dalla nonna che è venuta a trovarla nella grande metropoli senza alcuna speranza di incontrarla. Intanto la città notturna scorre senza soluzione di continuità attraverso i finestrini e il vetro del lunotto posteriore della vettura, per non so quanti minuti. Tanti, di sicuro, per una sequenza in cui nulla accade. E mentre stavo per cedere alla noia e agli sbadigli arriva subito una prima (e forse la più consistente, e l'unica) pugnalata al cuore : il taxi passa per la piazza della stazione in cui la nonna è dalle 10 del mattino che aspetta indarno la nipote. La nonna è lì presso il monumento del piazzale della stazione e la ragazza chiede al conducente del taxi di indugiare in un altro giro intorno alla statua per potere vedere, non vista, la nonna un' ultima volta senza poterle neanche parlare. Una scena feroce, tristissima, in cui ho fatto fatica a deglutire e forse ho anche avuto una incipiente secrezione lacrimale. Subito rientrata per la noia insopportabile del resto del film. Dialoghi lenti, lunghi, noiosissimi, come quello di fronte al quadro della "ragazza con il pappagallo", o quello che ha luogo in macchina tra il vecchio professore e il fidanzato gelosissimo che è convinto di parlare con il nonno della sua ragazza (e non sa che invece è il cliente). Infine mi ha lasciato il vuoto e lo squallore che già prometteva fin dall'inizio. Curioso come un regista iraniano abbia scelto di girare un film di soggetto giapponese. Direi che la mia mediocre cultura cinematografica non mi permette di apprezzare questo genere, che sicuramente sarà ben più apprezzato dalla critica più raffinata.

    Preferisco l'Odissea e le storie mirabili dell'Ulisse dal mutiforme ingegno durante il suo viaggio di ritorno (invero parecchio più lungo del film di Kiarostami) dalla guerra di Ilio. Nell'ILiade, invece, non mi sta per niente simpatico Ulisse: fu ideatore di quella carognata del cavallo di Troia, scorrettissimo!

    Resto in attesa della puntata d'annunziana.

    marghe.

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  2. Che il film di Kiarostami sia lento, anzi lentissimo, nessun dubbio, cara Marghe, a fortiori per il tipo di cinema cui siamo abituati: però non tutto mi sembra da buttare. Come detto, non è film da vedere dopo una lunga giornata di lavoro, questo sì...
    Poi decideti: Ulisse o lo si prende in blocco, o niente, no?

    L'eretico

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  3. Sai, Raf, il fatto è che ora sono su un'altra lunghezza d'onda. Sto leggendo avidamente F.S.Fitzgerald e ieri sera mi sono anche riguardata il film del '74, quello con R.Redford e Mia Farrow, sceneggiatura di Coppola, non ricordo il regista. In attesa dell'imminente uscita del remake del Grande Gatsby di Baz Luhrmann, con L.Di Caprio nella parte di J.Gatsby, che aspetto febbrile. Guarderò con attenzione la scena delle camicie nel guardaroba (adoro quella scena, ma ora non ti spiegherò il perché sennò mi dilungo). Dovrebbero fare un clubbino di quelli che sono rimasti colpiti dalla scena delle camicie nel guardaroba di J.Gatsby, e che potrebbero parlarne per ore.
    Scusa l'impertinenza del mio off topic, ma tanto oggi mi pare ci sia poca gente sul blog, ne ho approfittato per fare due chiacchiere da salotto. Non ti arrabbi, vero?

    marghe.

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  4. L'Iliade, forte e violenta, più reale, meno incline al racconto fantastico, con la scena familiare più bella di tutta la letteratura mondiale.
    Poi, io preferisco la modernità ineguagliabile dell'Eneide virgiliana.
    Luca.

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  5. Sinceramente mi piace sia l'Iliade, sia l'Odissea. Il primo per la grandezza della figura dell'eroe sfortunato Ettore e tutta la storia di una città che lotta fino all'ultimo prima di cadere per un crudele e sleale inganno. Il secondo perchè è pieno di episodi interessanti, un viaggio avventuroso in cui Ulisse sconta in parte le sue malefatte in terra di Troia, ma d'altra parte quelli erano tempi crudeli e prurtroppo non sono molto cambiati. Però ricordare l'Odissea mi fa divagare su un aspetto cioè quanto la vecchia televisione era anche istruttiva perchè sono abbastanza anziano per ricordare una vecchia edizione fine anni '60 dell'Odissea in cui ogni puntata era introdotta dalla lettura di alcuni versi del poema addirittura dal Grande Poeta Giuseppe Ungaretti. Bei tempi quelli. Se penso che in quel periodo fecero anche una bella edizione televisiva dei Promessi Sposi...... Chi vedeva quegli sceneggiati poi leggeva più volentieri a scuola anche i testi originali. Ora con tutti i Beautiful, Grande Fratello, Un posto al sole e simili è la morte della vera cultura.

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  6. Sai Eretico cosa mi fa pensare la vicenda senese? Ai cicli storici descritti dal Vico, spero che dopo essere caduti in basso si ricominci a risalire.

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  7. Da piccola avevo entrambe in versione per ragazzi, con illustrazioni bellissime. E mi intrigava molto di più l'Iliade, non fosse per la storia di Polifemo, ho sempre adorato le storie con mostri, fughe, ingengosi piani di fuga...
    Però credo che l'Iliade presenta dei ritratti e delle scene molto più toccanti. Mi vengono in mente i serpenti che uccidono Lacoonte e i suoi figli, il dialogo tra Ettore e Andromaca, il vecchio Priamo che supplica la restituzione della salma del figlio, la morte terribile del piccolo Astianatte... E questi sono solo i primi incancellabili flashback che sono impressi nella mia mente.

    Giovanna

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  8. per quanto mi ricorda, il fascino di ulisse e delle sue avventure facevano grande presa
    nella mia mente adolescenziale,in particolare il ritorno ad itaca e la grande rivincita su i proci; solo con la maturità ho capito la grandezza dell'iliade.
    la solita nonna

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